LETTERA DI NATALE – poesia
Lettera di Natale
a mia madre
Ora che si rifa Natale e l’attesa
facile svapora profumo d’infanzia
nostalgia per la casa-cuna tutt’insieme
come in presepe, sento madre cara
urgenza di succhiare con te il miele
di quel momento quasi energia vitale
e in sussurri-bisbigli intimi ridirti
chè tutto in Lui già vedi
in un eterno celeste presente
la mia storia qui sulla terra, svelando verità
ove le nostre anime nude si specchiano
simili gocce d’uguale sorgente.
Nell’invernale nostra foschia
l’ora di luce è sempre più breve
la foglia si filigrana in antico oro
e trema il pensiero a vento di presagi.
Il pettirosso fedele ai ritorni
dalla siepe di rose mi richiama
al passo delle stagioni.
E l’Erba Luisa diafana nuvola
nel turgido verde-emozionale essenza
fra le mani anche dell’aria
ha tronco in vigoroso slancio
misura del tempo ormai bruciato
in un anomalo lampo.
Così la vigna virgulto del padre
s’è diramata immensa d’ombra
ma agli anni spenta di fruttifera linfa
docile è supportata da germogli
giovinetti protesi a succosi nettari.
E’ la bellezza buona di vegetali diverse
generazioni a perpetuare insieme la vita.
Ma prodigio è l’albicocco dal brolo
di te ormai muto, nel mio radicato
forte dopo quell’inverno di morte.
Ora risorge con veste da sposa
promessa di vita per noi espansa
in due guance d’albicocca:
è la creatura novella da te a noi discesa
con capelli e volto alla tua foto uguali
colore profumo alle mie ore.
Stabilità dell’umana storia.
E altro miracolo infante si è or ora
Dischiuso: inattesa insperata stella accesa
nel nostro domestico cielo..
Tutto l’azzurro riflesso nei suoi occhi
sorride beato alla sua purezza.
Vita-stupore-ardore nuovo al cuore
***
E il tuo albicocco in umana forma
vive rivive anche in una favola
allegata a questo ragguaglio
ché tu la legga nei cenacoli del cielo
come miracolo rifiorito sulla terra.
Ora, madre, la casa-sfera ancora si muove
a guizzo d’amore
in armonia con le celesti leggi
la natura procede sempre per il suo sentiero
e in vari rituali la vita
in lei eterna si continua
devota agli appuntamenti stagionali
a normative universali
d’armoniosa convivenza
ribelle solo se tradita.
E ci ridesta col corno di luce
al risveglio dei suoi colori
in prodigi di nuove corolle
creature a noi accanto fiorite
ci allerta con cromatici intarsi
al palpabile passare del tempo
e ci avvia dolcemente a preludi d’inverno
con promesse di resurrezione.
***
Ma altro è il mondo madre, noi uomini dico, nel nostro vivere insieme senza più anima-pneuma-respiro, senza fede nella vita, nella Casa privata e pubblica: si è deflagrato il cuore-famiglia allargata in soluzioni infinite devianti l’esempio antico con svilimento di identità, smarrimento di teneri virgulti rimbalzante in ogni sfera vitale. Si è inaridito ormai il seme del sacrificio e azzerata ogni liturgia domestica anche per gli squilibri del mondo del lavoro che ingoia i giovani oppure li affama in disperati labirinti. Si vive quasi in un vuoto esistenziale colmato da linguaggi nuovi per ingannare la coscienza e la realtà che invero marcia su binari incivili, nell’indifferenza per la persona sempre più usata. L’ora è ingannata da un presunto progresso in nome del quale si vuole diventare Dio e manipolare la materia e l’anima, è ingannata da una tecnologia esasperata che se può rendere più agile il vivere, sacrifica, scarnifica l’essenza del rapporto umano. Solo voci meccaniche suonano ovunque la morte di una voce viva che effonde calore e germina amicizia. In verità Dio è stato sepolto in un centro commerciale, le porte del cuore sprangate a morte senza più risposte di vita, attese di resurrezione, oscurata ormai la sincerità, tradita ovunque la fedeltà. In questa deflagrazione di valori devastante ogni psiche volano schegge impazzite d’arroganza, violenza e corruzione come di un mondo che va sgretolandosi in materia e forma, il clima ammorbato da una pestilenza morale. La res pubblica è un optional che naufraga per insipienza umana in un’infinita esondazione di fiumi, canali senza più ritegno di argini e dighe. Ovunque la terra smotta e inghiotte vigneti, armenti innocenti, allarga il senso dell’umana precarietà. O mia terra euganea, fertile pianura e fiumi folti e colli dolci, come mi manchi mentre così abbandonata, desolata muori! Rimane in noi solo la radice di un sincero incontro da mantenere vivo perché l’umana dimensione non si estingua, rimane il credo nella nostra sostanza affettiva, il fuoco di una preghiera che ci ricongiunga al cielo. Rimane la coerenza di alcuni meditativi che praticano con coerenza nel vissuto quotidiano la fede in ideali antichi senza lasciarsi abbagliare dal business mito ora universale. Confortano il giardino che mi avvolge con la sua memoria, il teatro, la musica, un po’ tutte le arti, in particolare la scrittura per me come una luce sul tavolo della notte, come l’alba che ogni giorno si inaurora, come un’autoterapia che ti rilegge dentro e ti consola aprendoti agli altri stretti al laccio di eguale sorte. Salvifica poesia che possa redimere il mondo!
Maria Luisa Daniele Toffanin