OPERE – El cantar de mio Cid

EL CANTAR DE MIO CID

Poema fondamentale della tradizione letteraria

Posto alle origini della letteratura spagnola, l’anonimo Cantar de Mio Cid (1) già contiene di quella letteratura le caratteristiche tipiche, consistenti nell’andamento narrativo, nel forte legame con la realtà e nella completa assenza di aulicità. Il poema si presenta infatti come una schietta espressione dell’anima popolare. L’argomento è quello delle vicende del famoso hidalgo castigliano Don Rodrigo Diaz de Vivar (1043 circa – 1099), chiamato nel testo El Cid Campeador, il quale, esiliato dalla corte di Burgos in seguito a false accuse di cortigiani invidiosi, si ritrova costretto ad abbandonare la moglie e le due figlie, per dedicarsi alla battaglia contro i mori(2). Siamo nella Spagna della “Reconquista”(3) e gli eventi narrati hanno per teatro la Castiglia di Alfonso VI (risalgono cioè alla seconda metà dell’anno 1000); lo scenario è quello fra Burgos e Valenza, città che nel 1094 sarà conquistata dal Cid.

Questo è quanto l’ignoto cantore ci narra ne Il canto dell’esilio (El cantar del destierro), la prima delle tre parti (cantares) in cui il poema è suddiviso. Molti sono i passi particolarmente significativi di questo primo “cantar”, sia per l’incisività dell’espressione che per l’efficacia della resa poetica, come ad esempio quello dell’ingresso del Cid in Burgos, dopo che il re don Alfonso(4) lo aveva esiliato. “Mio Cid Rodrigo Diaz dentro Burgos entrava, / andavano con lui sessanta cavalieri; / uscivano a vederlo gli uomini e le donne, / borghesi e cittadini stavano alle finestre / piangendo dai loro occhi, tanto dolore hanno, / e dalle loro bocche tutti dicono questo: / «Dio, che buon vassallo, se avesse buon signore!»”(5).

Tanto forte era l’odio del re per il Cid che era minacciato di morte chiunque lo avesse soccorso. Notevole a tale proposito è l’episodio della bambina di appena nove anni, che prega il Cid di non entrare nella loro casa per paura di rappresaglie: “«Mio Cid Campeador, in buon’ora cingeste spada! / Il re l’ha proibito, ieri giungeva la carta, / con cura e rigore grandi, fortemente sigillata. / Per nulla non potremo aprirvi né ospitarvi; / altrimenti perderemmo tutti gli averi e le case, / inoltre perderemmo gli occhi della faccia. / Cid, dal nostro male voi non guadagnate nulla; / ma il Creatore vi aiuti con la sua santa potenza». / Questo disse la bambina e rientrò nella casa”(6).

Oltre a questi episodi ricchi di calda umanità, e per ciò altamente toccanti (si veda in proposito anche quello della separazione del Cid dalla moglie, donna Ximena, e dalle figlie ancora bambine), vi sono nel Cantar de Mio Cid molti passi nei quali ferve la guerra contro i mori, come il seguente: “Trecento lance sono, tutte hanno pennoni; / trecento mori uccidono, tutti d’un solo colpo; / ed al secondo assalto che fanno altri trecento muoiono. / Allora avreste visto lance abbassarsi e alzarsi, / e tanti forti scudi essere forati e rotti, / tante belle corazze ammaccate e spezzate, / tanti pennoni bianchi arrossarsi di sangue, / tanti buoni cavalli senza padrone errare. / «Maometto» chiamano i mori, ma i cristiani «San Giacomo»”(7).

 cantar_de_mio_cidNel secondo “cantar”, quello delle nozze (El cantar de las bodas), Alfonso VI, avendo apprezzato l’onestà del Cid che gli aveva versato la “legittima” del pingue bottino conquistato in battaglia, si riconcilia con lui e, in segno di riappacificazione, per dimostrare la sua benevolenza, gli chiede, per gli Infanti di Carrión, la mano delle figlie, donna Elvira e donna Sol(8). I due conti, don Diego e don Fernando, sono però uomini avidi e meschini, disposti a sposare le figlie(9) del Cid soltanto per arricchirsi: dopo le nozze, infatti, le maltratteranno e le abbandoneranno in un bosco.

Ecco i versi riguardanti la richiesta di matrimonio da parte del re: “Uscendo dalla messa, tutti riuniti sono / e prontamente il re dice queste parole: / «Uditemi, miei fidi, e voi nobili e conti! / Propongo un desiderio al mio Cid Campeador, / e voglia Gesù Cristo che si risolva a suo pro. / Le vostre figlie chiedo, donna Elvira e donna Sol, / che le diate come spose agli Infanti di Carrión. / Mi sembra matrimonio ben degno e vantaggioso. / Son essi che le chiedono, e volentieri li appoggio. / Dall’una parte e dall’altra, tutti quelli che qui sono, / gente mia e gente vostra, si uniscono al mio voto. / Concedete, mio Cid, e vi assista il Creatore»”(10). Benché non molto convinto, tuttavia, per non disgustare il re il Cid accetta e così risponde: “«Han nome di prestigio gli infanti di Carrión: / degni delle mie figlie e d’altre anche migliori. / Io le ho messe al mondo ma le formaste voi, / e siamo in mani vostre, io non meno di loro. / Perciò affido a voi le mie care Elvira e Sol. / Datele a chi volete, io lieto ne sarò»”(11). Molti altri sarebbero gli episodi da citare di questo secondo “cantar”, come ad esempio quello particolarmente commovente che descrive il momento dell’arrivo della sposa del Cid.

 14384_gIl canto dell’affronto (El cantar de la afrenta), la terza parte, inizia con la fuga di un leone dalla gabbia e la prova di codardia data dai due Infantes, i quali anche durante la battaglia di Valencia non dimostreranno maggior coraggio. La vittoria è garantita solo per merito del Cid, il quale ammazzerà il re moro (Bucàr, “il re dell’oltre mare”) e si impadronirà della sua spada(12).

Essendo stati ridicolizzati dal Cid a causa della loro vigliaccheria, i principi decidono di vendicarsi: partono alla volta di Carrión con le spose e la cospicua dote data loro dal padre ma, lungo la strada, dopo averle maltrattate, le abbandonano, offrendo così un’ulteriore dimostrazione della loro cattiveria e avidità. L’episodio è narrato in maniera realistica e piuttosto cruda dall’anonimo poeta, in versi di notevole efficacia: “Adesso tolgon loro i manti e le pellicce, / le lascian senza vesti, in camicia e sottana. / Han calzato gli sproni i mali traditori, / impugnano le cinghie, sono dure e robuste. / Quando videro questo, parlava donna Sol: / «Per Dio vi supplichiamo don Diego e don Fernando! / Due spade voi avete (forti e ben taglienti, / una è detta Colada, l’altra chiaman Tizona) / tagliateci le teste, due martiri saremo»”(13). Fortunatamente le due donne vengono soccorse da un nipote del Cid, Felez Muños, che le riconduce al padre il quale, adirato per l’offesa patita ed in preda a un profondo turbamento, chiede al re che gli faccia giustizia: Don Alfonso promette riparazione e convoca le Cortes a Toledo.

La vendetta che si prende Rodrigo è grandiosa: non una vendetta di violenza, ma con tutte le forme della procedura giudiziaria, in un dibattimento innanzi alle Cortes e alla presenza del re, nonostante il suo esercito fosse in armi poco lontano. Il dibattito ha qualcosa di così vivo e possente, che non si conosce niente di simile neppure nell’epopea francese, che pur vanta quello al traditore Gano in Aquisgrana(14). Durante il processo, infatti, il Cid, con grande sagacia, riesce a mettere sotto accusa gli Infanti, intimando loro finanche la restituzione della dote ricevuta. Il Giudizio davanti alle Cortes termina con un duello fra tre valorosi compagni del Cid, da una parte, e i due Infanti con Asur Gonzales dall’altra: è vinto dai campioni del Cid che umiliano, rendendoli ancora una volta ridicoli, gli Infanti.

Il “cantar” si chiude con un finale ottimistico, che esprime i sentimenti di giustizia e di fiducia nella vita propri dell’anima popolare. Si fanno avanti due cavalieri sconosciuti i quali, davanti alle Cortes, chiedono a nome dei loro signori, il principe di Navarra e il principe di Aragona, la mano delle figlie del Cid: avviene così un nuovo matrimonio, che fa di donna Elvira e donna Sol due regine.

 Charlton-HestonA differenza della Chanson de Roland, coevo poema epico delle origini della letteratura francese, dove l’atmosfera è eroica e grandiosa, l’atmosfera nel Cid è nettamente umana e molti sono i passi che ne rendono atto. L’ignoto cantore ha voluto rivestire il suo personaggio (un personaggio realmente esistito, Rodrigo Diaz de Vivar) delle doti più eccelse; El Cid Campeador è infatti un vassallo sempre leale che incarna il massimo grado di civiltà nella società del suo tempo: invincibile in guerra, sempre al servizio del suo re, della patria e della fede, geloso dei propri affetti, ma generoso e buon padre di famiglia. Se da un lato queste doti tendono ad allontanare un po’ il poema dalla realtà storica del personaggio, conferiscono tuttavia al protagonista quel lato umano che meglio completa il suo ritratto di guerriero e, al contempo, permettono al lettore d’identificarsi maggiormente con lui. L’eroe possiede sì delle virtù eccezionali, ma non si differenzia sostanzialmente dagli altri uomini per il modo di sentire e di vivere la vita di ogni giorno. E nemmeno le sue imprese, a differenza di quelle della maggioranza degli eroi epici francesi e tedeschi, presentano caratteristiche sovrumane e soprannaturali: il che fa risaltare ancor più “il contenuto umano del poema, il realismo dei caratteri tratteggiati e del loro comportamento nel corso dell’opera, e la natura democratica dei rapporti tra persone di diversa estrazione sociale, ben lontana dall’aristocraticismo carolingio”(15).

Il ritmo del racconto è pacato e privo di enfasi; semplice il linguaggio, costantemente permeato da una profonda umanità oltre che da una salda fede in Dio. Quanto alla metrica, prevale nel Cid un verso epico, formato da due emistichi di settenari per lo più assonanzati, ma non mancano gli emistichi di ottonari e di senari; più rari quelli di quinari e di novenari.

Opera capitale della letteratura spagnola, il Cantar de Mio Cid ha costituito un modello(16) al quale molti si sono ispirati ed è, tuttora, una delle espressioni più genuine dell’anima ispanica quale si è manifestata attraverso i secoli.

Liliana Porro Andriuoli (La Nuova Tribuna Letteraria n°114)

 

NOTE

1 Le incertezze sull’identità dell’autore del poema hanno dato vita ad una vasta letteratura sulle sue origini: si presume sia stato scritto intorno al 1140. L’unica copia manoscritta, mutila di un foglio all’inizio e lacunosa in due fogli centrali, ritrovata nel 1779 da Tomás Antonio Sánchez, è attualmente custodita nella Biblioteca Nacional de España di Madrid (per il completamento delle parti mancanti sono risultati utili alcuni testi coevi, in particolare la preziosa Crónica de Veinte Reyes). Sul manoscritto compare la data del 1307 e il nome di Per Abbat (ritenuto da alcuni un mero copista, un semplice amanuense, mentre altri – che forse sono i più – lo ritengono l’autore). L’ipotesi forse oggi più accreditata fa risalire un primo nucleo del poema all’opera di giullari e poeti erranti (che avrebbero narrato le gesta di Rodrigo Dìaz de Vivar, tramutandole in leggenda), mentre Per Abbat, probabilmente un giullare di alto livello, avrebbe rielaborato quei canti mettendoli per iscritto, dando così al testo la forma attuale. Il poema venne pubblicato per la prima volta nel 1779 dallo stesso scopritore del manoscritto, Tomás Antonio Sánchez.

2 Mori è il nome (derivato dal lat. mauri, abitanti della Mauritania) con cui gli spagnoli designarono gli invasori musulmani (in massima parte arabi provenienti dal Nordafrica) che occuparono quasi completamente la penisola iberica dal 711 fino al 1492.

3 La Reconquista (“Riconquista”) fu un periodo, durato 750 anni, nel quale avvenne l’espansione, ai danni dei Regni moreschi, da parte dei sovrani cristiani della Spagna. La Spagna riconquistò così le terre invase dai musulmani sin dall’VIII secolo (per la precisione dal 711 al 716). L’inizio della Reconquista è fatta coincidere con la battaglia di Covadonga nel 722; sarà completata solo nel 1492 con la caduta del regno di Granada, l’ultimo baluardo moresco in Spagna, regnanti Isabella I di Castiglia e Ferdinando II d’Aragona, i famosi “Re cattolici”. Va però ricordato che la Reconquista ebbe fasi alterne con lunghi periodi di stasi e non ebbe sempre il carattere di “guerra religiosa” che le conferirono, negli ultimi anni, i Re cattolici; al contrario furono frequenti, specie nel basso Medioevo, i casi di alleanza occasionale fra musulmani e cristiani, in lotta contro i rispettivi correligionari.

4 Si tratta di Alfonso VI re di León (dal 1065) e successivamente anche di Castiglia (dal 1072) e di Galizia (1073).

5 La traduzione di questo passo è opera di José Maria Valverde, da Storia della letteratura spagnola, Edizioni Radio Italiana, Torino, 1955.

6 Ibidem.

7 Ibidem.

8 Malgrado le indagini intorno ai fatti narrati e ai personaggi presentati nel poema abbiano dimostrato che il Cantar sia stato scritto con notevole aderenza alla verità storica (pochissimi sono infatti gli episodi inventati e quasi tutti i personaggi sono realmente esistiti), non ci si può non stupire del “cambiamento dei nomi delle figlie del Cid”, le quali non si chiamavano Elvira e Sol, ma Maria e Cristina. Di entrambe si conservano le «cartas de arras» (documenti d’impegno) del loro secondo matrimonio rispettivamente “con l’Infante di Navarra e il Conte di Barcellona (che nel poema è presentato come Infante di Aragona)” (Max Aub, Storia della letteratura spagnola, Bari, Laterza, 1972).

9 I due Infanti accettano, infatti, la proposta del re Alfonso VI per mero tornaconto, in quanto intuiscono che, anche se le due donne appartengono ad una classe media composta da “infanzones” o “hidalgos”, il Cid avrebbe dato loro una cospicua eredità.

10 Da Cantar de mio Cid, Cantare del Cid, presentazione, commento e traduzione di Luigi Fiorentino, Milano, Mursia, 1976 (edizione integrale bilingue).

11 Ibidem.

12 Si crede, come assai probabile, che una delle spade a lungo esposte al Museo dell’Esercito di Toledo sia quella chiamata Tizòn. Ma, seppure alcune analisi effettuate nel 1999 sembrino confermare che la lama sia stata realizzata nella Cordova moresca dell’XI secolo e contenga una certa quantità di acciaio di Damasco, non tutti concordano. Nel 2007, tuttavia, la Comunità autonoma di Castiglia e León acquistò per 1,6 milioni di euro quella spada, attualmente esposta al museo di Burgos. La spada usata dal Cid nella battaglia di Valencia era invece la Colada, vinta al conte di Barcellona.

13 La traduzione di questo passo è opera di José Maria Valverde, op. cit.

14 Gano è un personaggio della Chanson de Roland, poema del ciclo carolingio. Pur essendo uno dei paladini del re, Gano tradisce la propria patria svelando ai saraceni il modo per cogliere di sorpresa, a Roncisvalle, la retroguardia franca di ritorno dalla Spagna, che verrà per sua colpa sconfitta. A capo di essa c’è Orlando, che cadrà sul campo insieme ai suoi compagni. Orribile sarà la punizione di Gano per il suo tradimento: sarà squartato vivo e i suoi resti bruciati e sparsi al vento. Nelle vesti di traditore Gano ricompare anche in altri poemi cavallereschi francesi e in quelli italiani del Pulci e dell’Ariosto. È anche un personaggio dell’opera dei pupi siciliana.

15 Max Aub, op. cit.

16 Grande è stato il fascino che ha esercitato l’epopea di Rodrigo Diaz de Vivar sulla letteratura posteriore. Tra le opere di maggior rilievo che ne sono state influenzate vi è certamente il capolavoro di Pierre Corneille, una tragedia intitolata appunto Le Cid, apparsa nel 1637. Qui però la vicenda è interiorizzata, dato che ciò che in essa conta non è tanto l’azione, quanto il dramma psicologico dei personaggi. Tale dramma nasce dal fatto che Rodrigo, innamorato di Chimera e da lei riamato, è costretto a vendicare, per ragioni di onore, l’offesa fatta al padre suo (Don Diego) da parte del padre della donna che ama, Don Gomez. Don Diego chiede infatti al figlio di agire in sua vece, non potendo, a causa della sua tarda età, sfidare l’offensore a duello. Rodrigo si trova così nella condizione di dover perdere il proprio onore se non agisce in vece del vecchio padre o di perdere la donna amata se, al contrario, porta a compimento la vendetta. Rodrigo decide di battersi in duello con Don Gomez e l’uccide; il che costringe Chimera a chiedere al re la morte di colui verso il quale, pur tuttavia, nutre un forte sentimento amoroso. Il re, per trarsi d’impaccio, demanda a un duello tra Rodrigo e Don Sancio (chiamato a difendere i diritti dalla giovane) la risoluzione della controversia, ponendo però la condizione che Chimera sposi il vincitore. Vince Rodrigo e il dramma si conclude, non senza un forte colpo di scena finale, con la promessa delle nozze tra i due innamorati.

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